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Eugène Delacroix

22/06/2023
La Libertà guida il popolo

In una Parigi appena uscita dall’età della ghigliottina e dei miti imperiali, si impone una personalità che darà presto motivo di scandalo, critiche, vessazioni, dicerie da gossip e al contempo ammirazione ed emulazione. Eugène Delacroix (1798-1863) da una parte si scontra con la suscettibilità e il conformismo degli artisti accademici, dall’altra è tanto amato da fungere da apripista per le nuove generazioni.

La sua Arte è tanathos, lotta, nasce dal delirio della febbre e della solitudine, dalla volontà dell’oltre superando se stesso e la sua incompiutezza, nell’ansia perpetua della passione che affida al cuore il palpito delle emozioni e dei sentimenti alla ricerca incessante del “Paradiso perduto”.

Quell’onda romantica che sommergerà gli epigono del neoclassicismo, vede in Delacroix il suo rappresentante d’eccezione.

Il massacro di Scio

Ancora giovanissimo espone ai Salons de Paris la “Barca di Dante” e “I massacri di Scio”, due tele che fecero subito divampare infinite polemiche, pur raccogliendo simpatie e ammirazione negli ambienti letterari e artistici parigini. Amici come Stendhal, Mèrimèe, Victor Hugo, Dumas, Paganini, George Sand, Chopin condivideranno ideali e aspettative. Baudelaire in particolare avrà per lui un’autentica venerazione. D’altronde i suoi “Fiori del male” erano ben congeniali all’Artista nell’interpretazione drammatica della vita, nella lotta titanica tra il bene e il male, nei contrasti dell’esistenza, nella passione e nell’impeto dell’ispirazione. Sentimenti che gli fanno vivere intensamente l’esperienza romantica che traspone nelle tele con tutta l’energia travolgente delle mille cromie cariche di colore e pathos. Già il”Massacro di Scio” che evoca la feroce repressione turca contro i greci insorti nel 1822, rivela la tendenza all’apoteosi della violenza, ma ancor di più nella “Morte di Sardanapalo” ispirato da Byron, dove il despota prima di morire fa sterminare tutto ciò che gli appartiene: donne, schiavi, cavalli è una vera “orgia della morte”. Ma è anche un inno romantico alla donna vittima innocente e bella con l’aureola del martirio, eroina votata al sacrificio che soccombe alla brutalità senza speranza, senza pietà. D’altronde i suoi trascorsi giovanili negli anni del “terrore” giacobino e degli eccidi di “Waterloo” sono ricordi indelebili, stampati nella mente e nel cuore.

La morte di Sardanapalo

Ma non solo, perché nel cuore c’è anche quell’inno “Libertè, fraternitè, egalitè” che rivela in lui un insano desiderio di riscatto morale e sociale. Lo dimostra ampiamente nella “Libertà che guida il popolo”, in occasione dei moti parigini del ‘30 che portarono al trono “Luigi Egalitè” cacciando i Borboni. È una tela emblematica che espone con chiarezza l’ideologia liberale dei giovani romantici che vivono un auspicato Risorgimento, con un concetto astratto che raccoglie però un complesso di individui pensanti, di ogni estrazione sociale, votati al sacrificio estremo in nome della Libertà.

Le donne di Algeri