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Serena Tripoli

I Centri Antiviolenza: uno spazio dove costruire la propria libertà

09/08/2024

Partiamo dalla definizione: i Centri Antiviolenza (CAV) sono luoghi di donne che accolgono donne che subiscono violenza da parte di partner o ex.

Ma da dove vengono i CAV? La storia dei CAV è relativamente giovane e coincide con cambiamenti storico politici fondamentali nella storia di donne e uomini.

Cominciano ad organizzarsi a partire dagli anni 60-70 traendo origine dai movimenti delle donne, dai collettivi e dall’esperienza del femminismo. Nascono come spazi di libertà di espressione e autonomia, fondati sul desiderio di uscire dai condizionamenti e dalle prescrizioni del tempo. La riflessione tra donne a partire dalle proprie vite, il partire da sé, mettendo in discussione i ruoli tradizionali e le aspettative ancorate alle differenze di genere, ha rappresentato la base per la nascita e la costruzione dei CAV.

Grazie a questi primi movimenti inoltre si può spostare l’attenzione dalla “semplice” questione della parità di genere a quella della violenza domestica, vista come fenomeno culturale (frutto della cultura patriarcale dominante). La violenza domestica quindi come risultato delle storiche differenze in termini di potere nelle relazioni tra uomini e donne. Una vera e propria sfida al potere assoluto, secolare e immutabile degli uomini e del loro dominio esercitato in famiglia, ritenuta pilastro e nucleo della società.

In Italia la marcia verso i diritti è iniziata più tardi ed è avanzata più lentamente. Solo nel 1945 le donne ottennero il diritto al voto, fino ad allora non potevano pronunciarsi, non potevano ricoprire alcuni ruoli lavorativi (oltre che nella società), erano state perfino escluse dall’insegnamento nelle cattedre di lettere e filosofia dei licei e anzi erano state stabilite per legge delle mansioni specifiche, ed esclusive, a cui dovevano attenersi (dattilografe, telefoniste, stenografe, segretarie etc.).

L’anno seguente, il 2 giugno 1946, si tennero le prime elezioni a suffragio universale. Ma la parità giuridica formale arriva solo nel 1948 quando nella Costituzione viene stabilita l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso e la parità tra i sessi sul lavoro. Ancora qualche anno dopo arrivano la legge sul divorzio (1970) e quella sul diritto all’aborto (1978).

Arriviamo alla prima metà degli anni ‘90, e a livello nazionale iniziano a sorgere i primi CAV.Dalla nascita della prima Casa delle donnenel 1989, in meno di un decennio, in Italia, sono nati 70 Centri Antiviolenza, riunitisi per la prima volta a Ravenna nel 1996 in un incontro appassionato e ricco di idee. Fu a Ravenna che emerse la necessità di redigere una piattaforma di pratiche politiche condivise. E fu sempre da Ravenna che partì la necessità di mettersi in rete, di formalizzare la costituzione della Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza, per darsi forza, rendersi visibili e avere la capacità di incidere sulle Istituzioni per rispondere ai bisogni e ai desideri delle donne.

Cosa fanno esattamente i CAV? I centri antiviolenza svolgono attività di consulenza psicologica, consulenza legale, gruppi di sostegno, formazione, promozione, sensibilizzazione e prevenzione (nelle scuole, Asl, servizi etc.), raccolta ed elaborazione di dati e materiale bibliografico sui temi della violenza. I servizi offerti alle donne sono gratuiti. Alla loro nascita i CAV si sono strutturati per offrire, dove necessario, anche ospitalità in emergenza. Nel tempo, per rispondere a questi bisogni, sono sorte anche le case rifugio (CR), luoghi a indirizzo segreto in cui è possibile collocare donne e minori ad alto rischio. Sarebbe riduttivo fermarsi a riconoscere i Centri come luoghi solo dell’accoglienza. Sono luoghi in cui si costruiscono saperi, progettualità, speranze e competenze. Veri e propri “laboratori sociali” in cui si sperimentano relazioni virtuose e azioni di prevenzione e formazione.

All’interno dei CAV non ci sono approcci tecnici standardizzati e aprioristici, ma un metodo di lavoro che parte dall’ascolto dei bisogni e desideri della donna per co-costruire insieme a lei un progetto di fuoriuscita dalla relazione violenta. La metodologia usata infatti prevede che ogni azione (denuncia, separazione, attivazione di altri servizi ecc.) venga intrapresa solo con il consenso della donna, seguendo certamente i principi della protezione, ma anche dell’autodeterminazione, della riservatezza e del non giudizio da parte delle operatrici. Il percorso di rafforzamento punta all’empowerment della donna, che deve riprendere il controllo della propria vita. Un vero e proprio accompagnamento da parte delle operatrici esperte in materia, che mettono al centro il potere decisionale della donna, facilitando “ciò che per la donna è realisticamente perseguibile”. Così i CAV diventano una risorsa e non un servizio di cui  la donna è in balia.

Tra i servizi offerti gratuitamente dai CAV, il primo è quello dell’accoglienza telefonica. In genere le donne contattano proprio attraverso le chiamate, o i messaggi (sui social, via e.mail etc.), questo spesso permette di superare il senso di vergogna e di sentirsi accolte nella propria richiesta senza giudizio. La prima accoglienza telefonica permette di comprendere preliminarmente la situazione e fornire le prime informazioni necessarie nell’immediato. Nei colloqui individuali di accoglienza si analizzano più approfonditamente i bisogni e si costruisce un progetto, diverso a seconda della situazione e delle esigenze della donna. Questi incontri periodici hanno l’obiettivo di aprire uno spazio alla donna per parlare di sé, per elaborare il suo vissuto di violenza e superare il danno del trauma. La metodologia adottata prevede che ogni azione (denunce, attivazione altri servizi etc.) venga intrapresa con il consenso della donna e che si lavori sempre nel suo interesse, seguendo i presupposti della protezione, della riservatezza e del non giudizio. Alla donna non vengono offerte soluzioni precostituite, ma un sostegno specifico e informazioni adeguate, affinché possa trovare la soluzione adatta a sé e alla propria situazione. Spesso alla donna serve anche un accompagnamento nella ricerca di un’abitazione alternativa a quella coniugale, un inserimento lavorativo, o ancora un orientamento sui servizi sanitari territoriali. Nei CAV storicamente si organizzano, periodicamente e a seconda delle disponibilità delle donne che vi accedono e delle operatrici, gruppi di auto e mutuo aiuto in cui le donne possono incontrarsi in una relazione orizzontale e riparativa. Molte traggono giovamento già dal fatto di non sapersi sole, di “non essere le uniche”, le une per le altre possono essere una rete amicale di sostegno.

Le donne a volte non sono sole, sempre più spesso ci sono bambini (più o meno piccoli) che diventano inevitabilmente vittime a loro volta di violenza assistita (se non diretta in qualche caso). In questi casi è fondamentale, oltre al lavoro con la donna (principalmente con il sostegno alla genitorialità in cui si lavora sulla relazione madre-bambino/i) un lavoro con i minori e spesso ciò richiede l’attivazione dei servizi territoriali. Anche in questo caso, con l’accordo dela donna. Infine sempre più spesso le donne che accedono ai CAV necessitano di supporto legale, penale e/o civile. Un team di avvocate esperte in materia di violenza di genere, collabora con i CAV e segue (in taluni casi con il gratuito patrocinio) le donne che necessitano di essere tutelate anche dal punto di vista legale. Non si tratta dunque solo dei casi in cui la donna ha sporto, o intende sporgere, denunci per i maltrattamenti ma in tutti quei casi in cui c’è da avviare una separazione o ci sono dei minori per i quali è necessario ripensare la questione affidamento.

Infine i CAV svolgono azioni di prevenzione e sensibilizzazione, attraverso incontri nelle scuole, ASL, servizi territoriali, associazioni etc.  Questo tipo di lavoro, che può sembrare di poca rilevanza, è in realtà cruciale e risponde all’anima “politica” dei CAV, quell’anima che ha permesso alle donne di lottare chiedendo e ottenendo uno spazio tutto per sé. La prevenzione permette di incontrare centinaia di giovani donne e uomini che, in alcuni casi, approcciano per la prima volta a questo tema. Inoltre la sensibilizzazione all’interno dei servizi territoriali permette di incrementare le possibilità di fare un buon lavoro di rete, tra professionisti che parlano la stessa lingua, e ciò garantisce il buon esito del progetto della donna.

Insomma i Centri Antiviolenza sono luoghi di transito verso l’autonomia e la crescita personale, luoghi in cui potersi affrancare dalla violenza. Sono, proprio come dice il titolo, luoghi di libertà. La donna che si rivolge ai CAV è soggetto agente, attrice principale del suo percorso, un percorso che la porta a riprendere in mano la sua esistenza.

E noi operatrici ne siamo testimoni.