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Claudia Moretta-

La fiamma accesa a Olimpia e il valore di un sogno fragile

Milano-Cortina tra entusiasmo, debiti ereditati da altri Giochi e ghiacciai che arretrano: un’Olimpiade che può diventare un’occasione per ripensare il futuro dello sport e delle montagne.

Quando lo scorso novembre, a Olimpia, è stata accesa la fiamma olimpica destinata ai Giochi invernali di Milano-Cortina, non è stata solo la riaccensione di un’antica tradizione: è stata la scintilla che ha riportato il sogno olimpico al centro delle emozioni collettive. Per le atlete e gli atleti è l’avvicinarsi dell’appuntamento che trasforma anni di allenamenti; per un Paese intero è un’occasione di orgoglio e visibilità; per chi ama profondamente lo sport è il momento in cui tutto ricomincia a vibrare.

Ma insieme alla magia riaffiorano anche le preoccupazioni che un evento così imponente porta con sé. Conti da far quadrare, ritardi strutturali, investimenti che crescono più del previsto. La storia olimpica, del resto, parla chiaro: da Montreal 1976 — che portò a un debito smaltito solo molto dopo — ad Atene 2004, con impianti rimasti inutilizzati, fino a Sochi 2014, l’edizione invernale più costosa di sempre. È il promemoria di quanto sia facile lasciare dietro di sé un’eredità pesante per le generazioni future.

Milano-Cortina non è esente da rischi analoghi. Alcune opere sono state già ridimensionate, altre hanno subito incrementi di spesa e mentre la torcia attraversa l’Italia non possiamo che chiederci: quale sarà il lascito concreto per i territori che ospitano i Giochi?

La questione è urgente e riguarda anche il contesto naturale in cui le Olimpiadi invernali di svolgono: le montagne e i ghiacciai. Le masse glaciali delle Alpi italiane hanno perso, solo tra il 2022 e il 2023, circa il dieci per cento del loro volume. Nel mondo, chi studia i ghiacci registra perdite annuali di centinaia di miliardi di tonnellate. È un ritmo che racconta un cambiamento inquietante: apparati glaciali che arretrano, si assottigliano, scompaiono. La casa degli sport invernali si sta trasformando più velocemente di quanto fosse immaginabile solo pochi anni fa.

In questo quadro, le Olimpiadi possono — e forse devono — diventare anche uno strumento di sensibilizzazione e responsabilità. Parte dei ricavi potrebbe essere destinata alla ricerca scientifica sul clima, al monitoraggio dei ghiacciai, alla riforestazione delle aree alpine, a infrastrutture che aiutino le comunità montane ad adattarsi ai nuovi rischi. Non per compensare un impatto, ma per generare un beneficio duraturo: un’eredità utile a chi vive la montagna e a chi la custodirà negli anni a venire.

Perché ripensare i Giochi non significa rinunciare al loro fascino, semmai preservarli e preservarne lo spirito. Si potrebbero utilizzare impianti esistenti, costruire solo ciò che serve davvero progettando sin dall’inizio l’uso futuro, garantire trasparenza nei bilanci e valorizzare l’ambiente.

La fiamma olimpica che oggi viaggia attraverso il Paese non è solo un simbolo di competizione: è una chiamata alla responsabilità. Una luce che può guidare una nuova idea di Olimpiade — più leggera, più attenta, più consapevole — perché lo spirito olimpico continui a brillare senza restare schiacciato né dai debiti né dal clima che cambia. E perché le atlete e gli atleti, insieme a chi ama lo sport, possano continuare a sognare un futuro all’altezza di quella luce.