Una tradizione che non ci appartiene ma che sa regalare sorrisi sinceri.

Halloween è una festa che, lo ammetto, non ho mai davvero capito. Forse perché non appartiene alla mia infanzia, o perché mi sfugge quel gusto un po’ teatrale del travestimento, delle ragnatele finte, delle zucche che sorridono con denti storti. Eppure, ogni anno, quando arriva la sera del 31 ottobre, qualcosa di tenero si muove.
Ci sono i bambini che corrono per strada con i loro costumi troppo grandi, i visi dipinti male, le risate che rimbalzano tra le case. Bussano alle porte chiedendo “dolcetto o scherzetto”, e in quegli occhi pieni di luce c’è tutta la gioia dell’attesa, l’emozione di sentirsi parte di un piccolo incantesimo.

Allora capisco che, in fondo, Halloween non ha bisogno di spiegazioni. Non serve conoscerne le origini o i simboli: basta guardare i bambini che si divertono. È una festa pensata per loro, per ricordarci che la paura può essere un gioco, e che la vita — anche quando si traveste da mistero — sa ancora far sorridere.