L’emendamento approvato alla Camera introduce nel codice penale il consenso libero e attuale come cardine del reato di violenza sessuale,
ampliando tutele e segnando una svolta culturale oltre che giuridica.

Bisogna ribaltare la frase che spesso sentiamo — «No vuol dire no» — e partire invece da «Sì, e solo sì, vuol dire sì». È questa l’idea che meglio descrive la portata dell’emendamento approvato a metà novembre in Commissione Giustizia alla Camera, frutto di un accordo bipartisan tra destra e centrosinistra. Al centro c’è l’introduzione esplicita del consenso libero e attuale come elemento determinante per configurare il reato di violenza sessuale. Un passaggio che segna un cambiamento culturale e giuridico importante: per anni il dibattito italiano si è concentrato sui segni della costrizione, mentre ora il baricentro viene spostato sulla libertà e sulla volontarietà della persona coinvolta.
Il nostro codice penale, finora, si basava su quello che molti giuristi definiscono un modello “vincolato”: per riconoscere un’aggressione sessuale era necessario dimostrare la presenza di violenza, minaccia o abuso di autorità. L’assenza del consenso non costituiva, da sola, la base del reato. Una logica che ha lasciato zone d’ombra, soprattutto nei casi in cui la vittima non riesce a opporsi fisicamente o verbalmente. È noto infatti che, di fronte a un trauma improvviso, molte persone possono sperimentare una reazione di blocco, una paralisi emotiva o fisica che impedisce qualsiasi forma di resistenza. Silenzio e immobilità non equivalgono a disponibilità: spesso rappresentano l’unica strategia che la mente trova per proteggersi.
La giurisprudenza, negli anni, aveva già provato a superare i limiti del modello tradizionale, interpretando in modo più ampio la nozione di violenza e avvicinandosi progressivamente a un approccio basato sul consenso. Ora però questo orientamento trova un riconoscimento chiaro nel testo di legge: l’emendamento stabilisce che chi compie atti sessuali senza il consenso libero e attuale dell’altra persona è punito con le pene già previste dal reato. L’aggettivo “attuale” chiarisce che il consenso non è mai permanente, ma deve esistere nel momento in cui l’atto avviene, rinnovandosi passo dopo passo.
Un’altra novità riguarda l’estensione della tutela alle situazioni di particolare vulnerabilità. L’emendamento richiama infatti le condizioni indicate nel codice di procedura penale che rendono una persona più esposta, ampliando così il raggio di ciò che può essere riconosciuto come violenza sessuale. Non si tratta solo di colmare un vuoto normativo, ma di riconoscere realtà che per molto tempo non hanno trovato adeguata protezione.
Per capire meglio, si può pensare al caso di una persona che, a causa di uno stato di shock, di assunzione involontaria di sostanze o di una condizione psicologica compromessa, non sia pienamente in grado di percepire o manifestare la propria volontà. In queste circostanze, approfittare dell’incapacità della vittima di opporsi o di comprendere pienamente ciò che sta accadendo costituisce una forma di violenza a tutti gli effetti.
Significativo è anche il metodo con cui si è arrivati a questa formulazione: un confronto diretto tra le principali forze politiche, espressione di una sensibilità condivisa sull’urgenza di aggiornare la legislazione in materia. L’iniziativa parte da una volontà comune di due deputate di aree politiche opposte che hanno superato ogni ideologia per mettere al centro il diritto all’autodeterminazione, alla libertà, all’uguaglianza sostanziale delle donne, senza pregiudizi e senza moralismi.
L’introduzione esplicita del consenso non è solo un adeguamento tecnico: è un cambio di prospettiva. Significa riconoscere che la libertà sessuale non si difende solo vietando la costrizione, ma affermando il valore positivo della scelta. Significa dire, finalmente e senza ambiguità, che intimità e libertà vanno insieme e che ciò che conta non è l’assenza di un “no”, ma la presenza chiara, volontaria e continuata di un “sì”.









