Squilla il telefono, è la mia responsabile dei Centri Antiviolenza, rispondo subito.
“Ciao, volevo avvisarti che ti abbiamo messo il colloquio con Nicoletta [1], tu sai perché!”.
Così, in modo neppure troppo cifrato, la mia équipe mi dice che c’è una donna in difficoltà. Ma non una difficoltà qualsiasi, una specifica: la paura dei servizi sociali.
Questa è forse una delle basi più solide del ricatto dei maltrattanti, che viene declinata in vari modi “nessuno aiuterà mai una poveraccia come te! Senza lavoro, senza casa, ma che fine fai? Chiamo l’assistente sociale e ti faccio levare i figli!”.
Esclamazioni/minacce come queste, ripetute quotidianamente per anni, si radicano all’interno delle donne. Anche la rappresentazione che i media forniscono dei Servizi Sociali, generalmente non aiuta.
Al colloquio incontro Nicoletta, la faccio accomodare. Ci salutiamo e lei mi dice “ma allora sei tu Silvia, mi avevano detto che oggi avrei trovato te!”. Mi racconta come sta, parliamo anche dell’amica che sta ospitando lei e i due figli: “è davvero molto gentile, ma mi sento di troppo”. Ha un contratto a pochissime ore e arrotonda facendo le pulizie a nero. I soldi non bastano, l’assegno unico lo percepisce ancora il padre dei figli (il maltrattante) e al momento lui si rifiuta di darle anche solo un centesimo: per avere il mantenimento che le spetta per legge, ci vorrà tutto l’impegno delle nostre avvocate, che l’hanno già presa in carico. Nicoletta fatica, piange, teme di non farcela e che l’uomo, in fondo, avesse ragione “non sono buona a nulla io, non so fare davvero niente!”.
Ha bisogno di supporto, ora.
Proviamo a ragionare insieme rispetto a ciò che le servirebbe: avere più ore in regola, servizi che possano supportarla con i figli (un educatore il pomeriggio che sostenga il grande con i compiti ed aiuto nella ripresa da scuola il mercoledì), una casetta in affitto ed aiuto per il pagamento delle due mensilità di caparra. In aggiunta Nicoletta ha ancora la residenza in un’altra Regione, non ha mai avuto un medico di medicina generale sul territorio: l’uomo le aveva detto che non serviva, nessuno doveva farsi i fatti suoi, nemmeno il dottore tanto ci pensava lui a lei.
Le offro un goccio di the fresco alla pesca (il mio preferito) e due biscotti. Si calma un po’ e mi guarda con occhi lucidi. Scriviamo nel suo progetto personale tutto ciò che ci siamo dette, suddividendo gli obiettivi in breve, medio e lungo termine. Visti così, nero su bianco, sembrano aspetti tangibili, qualcosa su cui possiamo lavorare.
Cerchiamo insieme al pc i riferimenti degli uffici preposti al cambio di residenza (presso il Comune) e al cambio del medico (presso la ASL), poi stampiamo la modulistica necessaria da internet. Compiliamo insieme alcune parti e Nicoletta segna giorni/orari di apertura sul suo cellulare: dice che l’agenda la dimentica sempre e si trova meglio così.
Fissiamo un colloquio con la collega che si occupa dello sportello lavoro, alla quale scrivo una mail in diretta, per pre-allertare l’associazione nostra partner che si occupa di inserimento lavorativo sul territorio.
Nicoletta mi ringrazia, mi dice che si vede che siamo delle brave psicologhe, perché capiamo cosa c’è che non va e aiutiamo davvero le donne.
Le sorrido, ma le rispondo che dev’esserci un errore, dato che sono un’assistente sociale. Lei sgrana gli occhi: è una scena che vedo spesso. Le dico che, al netto di tutto ciò che può aver sentito sulla professione, dietro questa enorme dicitura di “Servizi Sociali” ci sono colleghi e colleghe che provano a sostenere i percorsi delle persone.
Mi dice che ha paura e l’accolgo. Le dico di provare a dare una possibilità: a se stessa e al Servizio Sociale Professionale. Le fornisco tutti i recapiti da contattare per prendere appuntamento, consigliandole di dire che è seguita dal Centro Antiviolenza del territorio.
Si stupisce, dicendomi che pensava che avrei preso io appuntamento, poi sorride ed esclama: “non dovrei sorprendermi più, qui nessuno fa le cose al posto mio!”
Le sorrido, ci salutiamo e mentre l’accompagno alla porta mi abbraccia. Poi inforca gli occhiali da sole ed esce.
Ha chiamato in reperibilità dopo una settimana: ha preso appuntamento con l’assistente sociale, che telefonicamente non le è sembrata spaventosa, ci farà sapere.
Incontro di nuovo Nicoletta dopo 2 mesi e mezzo, nel frattempo (per la rotazione interna al Centro), ha visto altre colleghe. La trovo più sorridente e mi mostra con orgoglio il cambio di residenza, nonché il libretto del medico sul territorio. Mi dice che con la collega del Servizio Sociale Professionale si incontra ogni 15/20 giorni circa: hanno lavorato per un supporto economico per l’affitto ed è stata inserita, con priorità, nelle liste per ottenere l’assistenza educativa domiciliare. I figli, intanto, il mercoledì pomeriggio possono restare nella ludoteca comunale, in forma gratuita. Non ha ancora sdoganato tutte le paure relative ai Servizi Sociali, ma riconosce che stanno provando a sostenerla e non se lo aspettava.
È così orgogliosa dei piccoli traguardi raggiunti quanto lo siamo noi come équipe per tutti i piccoli passi con i quali si sta rinforzando ed uscendo dalla spirale della violenza: sta ricominciando da sé!
Se senti che potresti essere una vittima di violenza di genere o sei consapevole di esserlo, contatta il 1522 che ti consiglierà il centro antiviolenza più vicino a te.
Se ti trovi nel territorio dei Castelli Romani o nella zona di Guidonia, puoi contattare i Centri Antiviolenza gestiti da Cooperativa Girotondo:
- Centro Antiviolenza Piccoli Passi: Via delle Cerquette 2/ Via Antonietta Chigi 48 Ariccia- Reperibilità telefonica H24 379.16.77.172
- Centro Antiviolenza Ricomincio da me: Via Malpasso d’Acqua snc Rocca Priora -Reperibilità telefonica H24 379.10.11.237
- Centro Antiviolenza Gea: Via Casal Bianco 18 Guidonia Reperibilità telefonica H24 349.07.98.572
[1] Nome di fantasia