Dopo due anni dalla proposta di candidatura della “Cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturali” nella Lista rappresentativa dell’UNESCO – promossa nel 2021 da un gruppo di professori universitari, coordinati dal professor Massimo Montanari, emerito di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna – finalmente, il momento tanto atteso dagli italiani, sembrerebbe arrivato e la proposta sarebbe stata accolta all’unanimità dalla Commissione nazionale.
Ad oggi, il Governo, su mozione dei ministri dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida e della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha inserito fra le candidature del 2023 la pratica della cucina italiana nella Lista rappresentativa dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’UNESCO.
Un piccolo passo che conferisce la conferma di merito alla cucina italiana, non solo come tipo di nutrizione ma come un vero e proprio stile di vita, che da sempre caratterizza gli italiani di un forte spirito creativo.
Una pratica ormai avviata e che cerca solo approvazione: il dossier dovrà seguire una prassi ben precisa, che coinvolgerà il Ministero degli Esteri e l’UNESCO in un percorso di valutazione previsto per il prossimo dicembre 2025. Ci sarà quindi da aspettare ancora un po’, ma questo non ferma di certo noi italiani nel continuare a coltivare il culto della cucina.
Secondo i promotori della candidatura, cucinare e mangiare rientrano nei passatempi preferiti dal popolo italiano: un momento di convivialità che si sviluppa in attimi di compagnia e familiarità tra parenti e amici. La cucina italiana è inoltre un continuo scambio di idee, emozioni e un ponte diretto con le generazioni passate.
La pratica del cucinare è un momento collettivo: la scelta di cosa mangiare è spesso un’occasione di dibattito, apparecchiare la tavola, commentare, guardare, giudicare, imparare. Il cucinare e il mangiare insieme diventano così riti quotidiani, momenti di festa anche quando non c’è niente da festeggiare, in cui si sta insieme, in cucina fra tradizione e creatività.
Nonostante la dinamicità del cucinare, il mondo culinario fa parte di quel tanto rinomato “DolceFarNiente” che gli italiani sono fieri di divulgare. Il mito della cucina è quella cosa che riunisce tutti gli abitanti del Bel Paese e che li porta a sentire una forte forma di nazionalismo verso il loro cibo e le loro ricette.
Ma la cucina italiana è anche benessere, l’utilizzo di prodotti di prima scelta, il nostro olio d’oliva e la stessa pratica del cucinare, definiscono la qualità della vita di un italiano.
Cucinare significa ripercorrere la storia d’Italia e tutelare la biodiversità: le comunità promotrici della candidatura hanno articolazioni in tutte le Regioni, in tutte le province, in tutti i comuni. La diffusione sul territorio ha un preciso riscontro linguistico nella differenziazione locale dei termini che, in ciascun dialetto, definiscono ricette e prodotti.
La sacralità della preparazione dei vari piatti storici si differenzia e si codifica in diversi usi regionali che oltre ad attuare una pratica differente della cucina, mantengono una forte identità collettiva che porta la nostra bandiera.
Invidiata in tutto il mondo, la cucina italiana si fa spazio tra le comunità estere, anch’esse sostenitrici della candidatura come patrimonio dell’UNESCO: tutti gli italiani extracomunitari che trovano supporto nell’Accademia Italiana della Cucina, che ha oltre 80 sedi all’estero e oltre 220 in Italia, con più di 7.500 associati chiamati “Accademici”. Tra i sostenitori firmatari anche ALMA, insieme ad associazioni quali ANCI, Slow Food e l’associazione nazionale delle Proloco.
La dieta mediterranea è una tradizione secolare che da sempre rende orgogliosi gli italiani. È un modello che si traduce in valori culturali, pratiche rituali e sociali che l’UNESCO potrà finalmente onorare come patrimonio mondiale. Citando Sara Roversi, presidentessa del Future Food Institute: “La cucina italiana è uno stile di vita che vede la sua più alta manifestazione nel convivio, sintesi tra cura e creatività”.